Home  /  Commenti 

Il contratto di distribuzione e le norme tecniche applicabili a prodotti contrattuali: l’articolo 35 della Convenzione di Vienna tra “ Merchantability”, “Fitness for a specific purpose” e responsabilità del venditore.

Il mercato domestico sta attraversando una fase congiunturale caratterizzata da una contrazione della domanda, contrazione che spinge le aziende italiane e ricercare (qualche volta in maniera destrutturata) sbocchi per i loro prodotti su mercati stranieri attraverso Agenti ovvero Distributori.

In questo articolo voglio soffermarmi sul contratto di Distribuzione in generale e sulle norme tecniche che possono incidere sulle possibilità di successo della instauranda relazione commerciale, ovvero portare ad una prematura interruzione della stessa in relazione alle possibili difficoltà che l’azienda italiana potrebbe incontrare nell’affrontare i sistemi di certificazione dei prodotti contrattuali. E’ importante sottolineare, in ogni caso, che qualunque sia lo strumento contrattuale prescelto dall’azienda la stessa non potrà in alcun modo prescindere da un’analisi puntuale di alcuni fattori e precisamente:

1. Il coefficiente di controllo che desidera avere sul partner commerciale straniero;

2. Il volume di vendite dirette che desidera mantenere nel paese del partner commerciale straniero;

3. L’affidabilità finanziaria del partner commerciale straniero ai fini della corretta promozione dei prodotti, del servizio al cliente finale, della possibilità di espansione del mercato in funzione delle attività di marketing svolte dal partner oltre che la possibilità di risolvere o di gestire correttamente le (eventualmente) necessarie pratiche burocratiche volte all’ottenimento dei certificati di qualità o di omologazione dei prodotti contrattuali.

Ebbene, una volta deciso che il contratto di distribuzione è il miglior strumento per poter ”aggredire” il mercato straniero, occorre considerare anche ulteriori fattori. Specificatamente, per giungere al tema centrale di questo articolo, è un dato di comune esperienza che nell’ambito degli scambi internazionali, con sempre maggior frequenza, le norme relative alle certificazioni di conformità dei prodotti ad un determinato standard tecnico vengono utilizzate come “barriere di entrata” nel mercato giacché tali norme sono di natura cogente, cosicché il Fornitore/Venditore si trova spesso a dover valutare la effettiva “ commerciabilità” dei propri prodotti alla luce di norme che regolano le caratteristiche “tecniche” ovvero i requisiti specifici in materia di sicurezza, rispondenza a standard, composizione, ecc.

Orbene, quale impatto possono avere la norme tecniche e le certificazioni di conformità dei prodotti nell’ambito dei rapporti tra il Venditore ed il Distributore? La mancanza di certificazioni tecniche ovvero la non conformità a standard tecnici in vigore nel paese del Distributore possono compromettere le relazioni commerciali? E, soprattutto, rappresentano una violazione delle norme che disciplinano la qualità del prodotto secondo i dettami della Convenzione di Vienna, che quasi universalmente regola il Rapporto contrattuale?

Prima di procedere con l’analisi delle problematiche sottese alle “certificazioni di conformità” è bene soffermarsi su alcuni principi che regolano il contratto di distribuzione internazionale. Con il contratto di distribuzione internazionale, infatti, le due parti , il Fornitore (Venditore) ed il Distributore regolano una relazione potenzialmente duratura nel tempo secondo la quale il Fornitore (Supplier o Seller) vende al Distributore i propri prodotti mentre quest’ultimo si impegna a distribuire (direttamente ovvero attraverso una rete commerciale terza) i prodotti: il differenziale tra prezzo di acquisto e prezzo di vendita applicato dal Distributore nel paese è il “profitto” che trarrà il Distributore dall’operazione commerciale. E’ chiaro che il mercato di sbocco dei prodotti distribuiti (ingrosso ovvero dettaglio) incide sensibilmente sulle norme applicate ai prodotti: generalmente, ma sono molte le eccezioni, i prodotti che sono destinati ai consumatori (intesi, usando una terminologia propria del nostro Codice al Consumo in vigore nel nostro paese, come NON PROFESSIONISTI) sottostanno a norme tecniche o certificazioni di qualità molto severe. E’ il caso dei prodotti alimentari: quasi tutte le legislazioni conoscono norme in materia di etichettatura, marchiatura di origine, certificazioni di qualità dei prodotti alimentari ma, in molti casi, le certificazioni sono necessarie anche per altri prodotti come i prodotti elettronici, i prodotti medici ecc.. Ebbene, quali sono le conseguenze nel caso in cui i prodotti contrattuali risultassero essere sottoposti a “certificazioni” obbligatorie ovvero a marchi di conformità e all’atto dell’importazione nel paese ne risultassero sprovvisti? Chi è il responsabile del loro adeguamento? Chi tra i soggetti contrattuali ha l’obbligo giuridico di richiedere dette certificazioni? Si tratta senza dubbio di una delle tematiche cruciali e, potenzialmente, una delle cause di deterioramento del rapporto contrattuale instauratosi tra il Venditore ed il Distributore. La Convenzione di Vienna, con l’articolo 35, specifica gli obblighi del venditore, al quale è richiesto di consegnare al compratore merce esente da difetti: specificatamente, ai sensi di tale norma, la merce deve in primo luogo essere conforme al contratto, deve cioè rispondere alle caratteristiche previste, che le parti hanno concordato e che risultano nei documenti commerciali scambiati nel corso delle trattative: da tali documenti risulteranno la tipologia, la quantità e le caratteristiche dei prodotti. Se le parti non hanno sufficientemente specificato i requisiti, lo stesso articolo 35 prevede alcuni criteri oggettivi di determinazione delle conformità del contratto; tali criteri chiariscono che le merci sono conformi al contratto se:

1) Sono atte agli usi ai quali servirebbero abitualmente merci dello stesso genere;

2) Sono atte all’uso speciale, tacitamente od espressamente portato a conoscenza del venditore al momento della conclusione del contratto, a meno che risulti dalle circostanze che l’acquirente non si è affidato alla competenza o alla valutazione del venditore o che non era ragionevole da parte sua farlo;

3) Hanno le qualità del campione o del modello che il venditore ha consegnato al compratore;

4) Sono imballate o confezionate secondo i criteri in uso per le merci dello stesso tipo o, comunque, in grado di assicurare la loro corretta conservazione e protezione.

Sempre ai sensi della Convenzione di Vienna l’inadempimento contrattuale è di natura essenziale quando causa all’altra parte un pregiudizio tale da privarla di ciò che avrebbe avuto il diritto di attendersi in caso di prestazione conforme al contratto medesimo. Alla luce delle norme sopra richiamate occorre ora chiedersi se costituisca un difetto della merce, e quindi un inadempimento del contratto di distribuzione, la mancata conformità alle norme vigenti nel paese di commercializzazione. E’ chiaro che in questi casi sarà in primis il testo contrattuale ad orientare l’interprete: occorrerà cioè verificare nel testo contrattuale quali siano le caratteristiche pattuite dalle parti e quindi, secondo l’esempio proposto, se i prodotti venduti dovessero essere conformi alle norme imperative in vigore nello stato di destinazione regolanti lo standard tecnico, la sicurezza del prodotto, l’etichettatura ovvero la sua composizione. Sul punto specifico occorrerà quindi chiedersi se, al di là delle disposizioni contrattuali, il Venditore si sia obbligato a fornire anche le c.d. garanzie implicite (implied warranties) ed in particolare le garanzie di commerciabilità (warranty of merchandability) ed idoneità all’utilizzo normale per merce dello stesso tipo o, addirittura, non si sia impegnato a fornire la garanzia che la merce sia idonea all’utilizzo specifico che il compratore gli abbia reso noto al momento della conclusione del contratto (warranty of fitness for a particular purpose). Secondo l’interpretazione comunemente accolta, l’articolo 35 della Convenzione di Vienna non implica la automatica incorporazione delle norme tecniche in vigore nel paese di destinazione nel contratto di compravendita internazionale di beni mobili: il venditore quindi non potrebbe essere considerato responsabile della deficienza dei prodotti in ordine all’adeguamento degli stessi a norme tecniche, a standard, a norme sull’etichettatura, o sulla sicurezza, perché non sarebbe tenuto a conoscere la normativa dello stato in cui ha la sede il distributore salvo che:

a) Disposizioni simili non siano in vigore nello stato dove ha la sede il venditore;

b) Le parti, con pattuizione espressa , le abbiano “recepite” nel contratto;

c) Il distributore abbia comunicato al venditore che le suddette norme tecniche, di sicurezza, di etichettatura, costituiscono una caratteristica che lui ritiene essenziale;

d) Il venditore abbia potuto avere conoscenza dell’esistenza di dette norme in relazione a circostanze di fatto quali: rapporti commerciali intercorrenti tra le parti da lungo tempo; esportazioni continuative verso il paese ovvero per l’attività di promozione commerciale che questi ha svolto o svolge all’atto della conclusione del contratto.

Nei casi di specie che si stanno analizzando i prodotti, pur essendo esenti da vizi e/o difetti intrinseci, non sono in realtà commercializzabili, non avendo le caratteristiche (legali) minime necessarie per essere collocati sul mercato. Non sono pertanto difetti rinvenibili sul prodotto: astrattamente il prodotto è conforme a quanto indicato nella letteratura commerciale del venditore ma ciò nonostante privo di quella marchiatura di qualità o non rispondente allo standard tecnico ovvero ad altre “rules” in vigore nel mercato di sbocco (Cfr. Veneziano, Non conformity of goods in International Sales, secondo il quale” are goods defective if they do not conform to directives, or generally, to public authority provisions in the buyer’s country? Certainly in international trade tends to justify negative solution: we may doubt that the seller should be bound to know all governmental provisions in the country where the goods will be traded. It is the buyer who should draw the seller’s attention to them, as he is in the position to find and give information at lower costs. A different solution would also infringe upon the need to uniform application of the Convention …). Come si è visto sopra la lettera dell’articolo 35 della Convenzione di Vienna non indica quale sia il soggetto che deve assumere il rischio della rispondenza dei prodotti alle norme tecniche in vigore nel paese nel quale deve essere commercializzato, dall’altro (come ricordato qui sopra) la giurisprudenza e la dottrina sembrano esonerare il Venditore nei casi in cui questo non abbia né direttamente (attraverso cioè la richiesta fatta dal Distributore) né indirettamente (e cioè sulla base dei criteri già menzionati) conosciuto l’esistenza di tali norme: in questo senso sembrerebbe prevalere il principio secondo cui al momento della conclusione del contratto al venditore viene richiesto quel prodotto così come è, non rispondente alle norme tecniche in vigore nel paese del distributore. Dall’altra, proprio al fine di garantire la “commerciabilità” dei prodotti che il Distributore si impegna a vendere sul mercato di sbocco, una corrente interpretativa ritiene che detta obbligazione debba essere posta a carico del Venditore stesso (citando un commentatore della Convenzione si potrebbe dire che “resale must be considered an ordinary use”). Ma la dicotomia nelle posizioni è solo apparente; in realtà, laddove la relazione abbia il carattere della stabilità (e questo è il tipico caso del contratto di distribuzione che si rinnova per molti anni) sembrerebbe corretto ritenere che sia il Venditore a dover diligentemente “informarsi” circa la commerciabilità del prodotto nel paese del Distributore, non potendo questi ignorare la legislazione vigente e gli standard qualitativi richiesti nello Stato in cui ha la propria sede la controparte contrattuale. Nel caso specifico, laddove la relazione contrattuale sorga sulla base di un contratto di Distribuzione, caratterizzato normalmente dal carattere della durata, il Venditore deve valutare correttamente la realtà normativa (tecnica) e gli standard qualitativi (oltre che norme sull’etichettatura e sulla sicurezza) in vigore nel paese del Distributore e ciò al fine di consentire a quest’ultimo, di commercializzare i prodotti. Ancora maggiore dovrebbe essere la diligenza della parte venditrice nel caso in cui il Distributore renda noto al momento della conclusione del contratto, anche in maniera implicita, lo specifico uso cui sono destinati i prodotti che gli verranno venduti, giacché in questo caso, al Venditore sarà richiesta la conformità dei prodotti per quello specifico uso. Per fare un esempio, qualora al Venditore venga richiesto un apparato di illuminazione da utilizzarsi in particolari ambienti (per esempio, miniere) il venditore sarà considerato responsabile di inadempimento contrattuale qualora l’apparato venduto non sia utilizzabile in detti particolari ambienti e ciò a prescindere dalla sua effettiva conoscenza delle norme tecniche applicabili. In quest’ultima ipotesi il Venditore sarà esonerato dalla responsabilità solo nel caso in cui il Distributore conoscesse o avesse potuto conoscere la mancanza di conformità al momento della conclusione del contratto: per tornare all’esempio poco sopra citato, il Venditore che nel proprio catalogo indichi specificatamente che gli apparati di illuminazione non sono utilizzabili nelle miniere giacché non sono rispondenti a determinate normative tecniche, non potrebbe essere poi considerato inadempiente se, nonostante tale esplicita indicazione nella letteratura commerciale in uso, il Distributore avesse comunque ordinato quei prodotti.

Da ultimo occorre considerare che nei contratti di Distribuzione commerciale l’obbligo della certificazione dei prodotti contrattuali dovrebbe essere espressamente regolato: al fine di eliminare ogni possibile dubbio, nel caso di prodotti non ancora certificati, sarà opportuno prevedere chi delle due parti del contratto dovrà ottenere la certificazione ovvero quale parte avrà l’onere di provvedere all’adeguamento tecnico dei prodotti contrattuali, alla loro marcatura di qualità, alla loro certificazione ovvero all’adeguamento dell’etichettatura.

© AVV. ALBERTO ANDREELLO

Volete stipulare un contratto di distribuzione con un partner commerciale in Italia o all'estero?

 

Il contratto di distribuzione e le norme tecniche


Stampa
Powered by Telemar Spa